GRAZIE

Heinz gridava con i piedi, ma i piedi si stringevano ostinati in un grugno muto, raspando sul terreno quasi ghiacciato, troppo fangoso.
Tremava fino ai capelli.
A questo punto cominciò.
— Dio ti prego, fa’ che questa terra diventi erba; un’erba soffice, un tappeto tiepido. Ti prego, ti prego! Non ti sto chiedendo tanto: vorrei fare solo cento, magari anche solo cinquanta passi su un prato vero: non importa quanto morbido sia! — 
Ma il terreno ben presto si ricoprì di neve pungente, sporca e gelida.
Le calze si impregnarono di quella fanghiglia, diventando dure. Le suole scomparvero, mangiate dai passi stentati.

Il soldato Heinz si fermò su un sasso sporgente. Le chiappe si intirizzirono e si graffiò ovunque. Allora riprese.
— Dio ti prego, fammi trovare un paio di scarpe: non chiedo scarpe perfette. Ci sono centinaia di cadaveri attorno a me. Fa’ che ne trovi uno con degli stivali un po’ più stivali dei miei. — 
Ma attorno a lui c’erano solo cumuli di morti senza scarpe.
Heinz inspirò foschia umida e nevischio lamentoso, come il vento che gli strofinava la pelle.
La sua testa cadde tra le mani ricoperte da guanti troppo freddi. E continuò.
— Dio ti prego, fammi sentire un poco di calore, di quel calore di casa mia. Fammi sentire le manine calde di mia moglie, che sfregavano sopra le mie. Ora non sento le sento più le mani, Dio. Sono pezzi di legno. Non ti chiedo niente di miracoloso: fammi anche solo ricordare mia moglie che mi scaldava nel suo abbraccio, così debole e così rovente. Ti chiedo solo un ricordo, un istante, qualche secondo. Null’altro. Ti prego. — 
Nulla si mosse in lui.
Sentì solo dei passetti di una bambina. Era una bambina, o quanto meno sembrava essere una bambina.
Era magra, con le spalle a punta e le ginocchia simili agli spigoli di un tavolo. Gli occhi erano strabuzzati.
Si avvicinò all’uomo e Heinz forzò le palpebre per metterla a fuoco. Il soldato tentò di sorriderle, ma i denti rovinati trasformarono la sua faccia in un ghigno.
La bambina gli sfiorò il volto. Heinz sognò.
Poi, improvvisamente quello scheletrino gli sputò in faccia e parole orribili colarono dalle bave della fanciulla, sulla divisa di Heinz.
L’uomo non capì una parola di quella cascata di suoni, ma di una intuì il significato: — — Muori! —
Heinz si scosse da quell’essere umano e cadde al suolo. La melma innevata lo immerse in un dolore lancinante.
Si alzò a fatica e si allontanò lentissimo dalle spire della bambina. Poi ricominciò.
— Dio ti prego! Ho fame. Dio mio ho fame! Ridammi il profumo, anche solo il profumo dello stufato di mia madre. Mia madre… Dio mio, mia madre: chissà se mi pensa ancora, o se mi credi morto in qualche fossa comune in questa maledetta Russia. Ti prego Dio, concedimi quell’immagine fumante di carne sul braciere; fammi rivedere quelle patate, quando tornavo dopo otto ore di lavoro in fabbrica. Non ti chiedo altro: ravviva solo in me quell’odore. Mi basta solo questo, Dio! — 
Heinz si ricoprì gli occhi nuovamente e cadde in ginocchio, premendo le palme sulle palpebre, fino a farsi sanguinare gli occhi.
Silenzio.
Improvvisamente fu obbligato a uscire da quel suo mondo lontano e si sentì strattonato a destra e a sinistra.
— No!, gridò Heinz. —
— No! Chi siete? Lasciatemi stare! — 

La lingua parlata dalle mani che lo stavano sollevando, era nuovamente sconosciuta.
Era una lingua slava, scivolosa e troppo velenosa per le sue orecchie fragili.
Si sentì trascinato per qualche metro; poi venne lasciato cadere in una pozza lurida, una pozza irrespirabile, dominata da un fetore dalle tinte blu scuro.
Capì subito di essere finito gambe all’aria in un letamaio.
Allora alzò la voce.
— Dio perché? Perché la gente mi odia così? Perché il mondo è così cattivo?— 
Poi pensò che lui stesso era dalla parte dei cattivi. Il suo esercito era cattivo, era quello che aveva fatto tanto male a quella terra. Ora, i cattivi di cui faceva parte, stavano perdendo: dunque, arrivavano i conti da pagare e lui li stava pagando tutti.
Respirava affannato nel letame. Poi si lamentò.
— Mio Dio, perché? Adesso anche lo sterco. No, lo sterco no, Dio mio! — 
Heinz cominciò a piangere. Piangeva lacrime e letame, letame misto a lacrime, lacrime che diventavano letame.
— Dio, questo è l’inferno.— 
Lentamente si addormentò, pregando e sperando che nessuno vedesse quello spettacolo ignobile.
L’odore però cominciò a inseguirlo nei sogni e negli incubi che fece. Sentiva l’arteria pulsare letame e i pori rilasciare puzza.
Quando riaprì gli occhi, era più stanco di prima.
Si sentiva avvelenato in ogni cellula del suo corpo.
Ma ancora una volta alzò gli occhi verso il cielo, sordo e muto.
— Dio, mio Dio! Posso chiamarti ancora Mio? Posso ancora chiamarti? Cosa ti devo chiedere, dimmelo te! — 
La strada attorno a lui era deserta, arida. Gli insulti che lo avevano ricoperto con lo sterco, mutavano in nebbia che fluttuava magica, diradandosi pian piano, schiaffeggiata da turbini di venti severi.
Heinz era stanco. Era stanco di tutto. Stava in piedi solo perché cadere gli sarebbe costata fatica, troppa fatica.
Sembrava un palo segnaletico che indicava il nulla.
Poi un urlo, come una fucilata.
— Heinz! Heinz! — 
Il soldato si scosse: la voce proveniva da dietro una curva che non si ricordava di avere percorso.
— Heinz! Heinz! — 
— Sì! — rispose Heinz continuando poi a parlare.
— Sono io Heinz. Io sono Heinz! Lasciami stare ti prego. Ora basta. Non chiamarmi neanche con questo nome così stupido. — 
Un’ombra di uomo comparve nella curva: stava correndo, se poteva dirsi correre il saltellare come una gallina zoppa.
Heinz non riusciva a riconoscere di chi fossero quelle parole.
Le sue pupille erano bruciate dalla tristezza e dalla rabbia; ma più di tutto lo graffiava la nostalgia.
— Heinz! — qualcuno si ostinava a chiamarlo.
Paradossalmente, di colpo, Heinz cominciò ad amare quella voce imperterrita, che lo ridestava alla vita. Sì, perché sentiva che lo stava riportando a vivere.
Abbandonato da Dio, Heinz si innamorò perdutamente di quel grido; si rinnamorò del suo nome, così metallico e perentorio.
— Che bel nome è Heinz — gli diceva sempre sua moglie.
Lei glielo ripeteva in mille tonalità, in mille accenti. Così ridevano insieme e così si erano sposati.
Ma ora era tutto diverso, perché non era sua moglie a invocarlo.
Ma cosa importava.
Il soldato si dette uno scossone, si staccò di dosso un po’ di schifo e si voltò verso la curva.
— Chi mi chiama?— gridò con quanto più fiato aveva.
L’ombra, tra mille inciampi, lo raggiunse. Era Thomas, un compagno del suo stesso reparto di fanteria, reparto che adesso non esisteva più, sparito sotto un bombardamento su qualche fiumo russo.
— Thomas!? Ma sei vivo! — 
— Sì, sono vivo, Heinz! Forza, toccami la testa: è ancora attaccata al collo! Senti i miei occhi con le tue dita! Li ho tutti e due! Ehehehehe. Guarda la mia bocca: è sempre la stessa, mai capace di stare chiusa. — 
Heinz era confuso e felice. Brancolò verso di lui fino a toccarlo. Poi cadde ai suoi piedi e gli abbracciò le ginocchia. Tentò anche di baciarle, ma le labbra gli bruciavano dal freddo.
Trovò la forza di biascicare qualcosa.
— Dio, d’ora in poi ti chiamerò Thomas. — 
— No, Heinz: sono Thomas, non Dio — rispose il compagno.
— Sono quello che hai tirato fuori dal Don ghiacciato. Ti ricordi? Heinz! — le parole di Thomas correvano tiepide nelle orecchie di Heinz.
— Dio si chiama Thomas! — continuava a ripetere Heinz, nella cui testa ora tutto vibrava, come l’aria attraversata dai cacciabombardieri.
— Heinz! Heinz! Lascia stare questa storia di Dio, per Dio. C’è una cosa più importante! La guerra è finita! Basta guerra, Heinz. Si torna a casa, Heinz! Si torna in Baviera! È finita la guerra, Heinz! — 
Heinz restò paralizzato.
Si staccò da Thomas e si lasciò cadere con il volto verso le nubi grigi.
Per un attimo il cuore cominciò a pulsare sangue caldo.
— Dio! Allora mi ascoltavi! Dovevo solo chiederTi tutto. Tutto! Scusami se ho avuto l’anima piccola. È vero, tu l’hai sempre voluta grande. Me l’ero dimenticato. Grazie! — 
In bocca aveva terra. La masticò e la sentì amica, dolce; era color perla. Come la perla che aveva regalato una volta a sua figlia. Come quella perla che ora, per un istante, vide brillare in cielo e che si tendeva a baciarlo, con le stesse labbra di sua moglie.
Thomas si caricò l’amico a spalle, o almeno provò a farlo.
— Grazie! Grazie! — continuava a ripetere Heinz.
Nel frattempo aveva ricominciato a nevicare.











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